mercoledì 11 giugno 2014

Il "mio" cinema danese

Molti anni fa, grazie ad una amica internettiana con cui, purtroppo, ho perso ogni contatto, ho iniziato a conoscere alcune opere di vari registi accomunati dall'essere di nazionalità danese. Pellicole molto diverse tra loro, ma forse, a guardar bene, accomunati da certe atmosfere o scelte stilistiche. La cosa mi ha preso un po' la mano nel corso degli anni... Lungi da voler e poter fare un'analisi specifica di una intera ed eterogenea filmografia, mi sono riproposta stasera (in una nottata di reperibilità che si prospetta, per buona parte, insonne) di elencare e suggerire ad un fantomatico lettore del blog, alcuni dei film che ho preferito. NB: salto a piè pari tutto Lars von Trier, non ho la forza né la capacità di infilarmi in quel mondo controverso che è la  sua filmografia, il mio intento è quello di citare dei film che immagino siano molto meno conosciuti.

Le mele di Adamo di Anders Thomas Jensen del 2005

Parto subito da uno dei miei preferiti in assoluto.
E' la storia di un ex-detenuto neonazista, Adam (il mirabolante Ulrich Thomsen) che viene affidato per il proprio recupero sociale a un pastore protestante, Padre Ivan (Mad Mikkelsen, Hannibal quando ancora non se lo filava nessuno). Padre Ivan è dotato di un inverosimile ottimismo. Crede fermamente nel bene ed è convinto di poter rieducare Adam. Come primo passo lo induce a crearsi un primo obbiettivo da raggiungere e Adam decide che vuol fare una torta di mele (le mele di Adamo del titolo). Ne succedono di tutti i colori: arrivano i corvi, poi un fulmine cade sull'albero, tutto congiura contro la torta di mele, ma Padre Ivan, contro ogni evidenza, insiste per far raggiungere ad Adam l'obiettivo prefissato. Detto così sembra un film normale, anzi noioso. Ma non lo è. Oh, se non lo è!
Innanzi tutto l'ottimismo di Padre Ivan si manifesta con una sistematica negazione del reale. Il suo sguardo è deformato. Suo figlio è gravemente disabile, ma lui non sembra esser consapevole, le altre persone che vivono con loro commettono atti malvagi, Adam gli punta una pistola alla testa, ma lui agisce come se tutto ciò non accadesse. Il male non lo vede nemmeno quando gli cade sotto gli occhi, anzi, finisce per giustificare le azioni orribili delle persone che lo circondano, senza battere ciglio. Il film, in un crescendo di episodi surreali, finisce in modo inverosimile ma donando momenti di vero umorismo nero (di quelli nei quali, a pensarci bene ti rendi conto che da ridere non c'era proprio niente, ma se lo riguardi una seconda volta, ne ridi di nuovo). Oltre a questo Le mele di Adamo offre lo spunto per una riflessione semiseria su cosa sia il bene e il male, su quanto conti l'occhio di chi guarda nel giudicare le azioni e su come le cose finiscano spesso in modo molto diverso rispetto a quello che ti aspetti, a prescindere da quanto ti sforzi, per esempio, per buttare tutta la tua nel secchio dei rifiuti. Questa scena è un esempio di quello che sto tentando di dire (la scena è un po' forte, vi avverto).


Non desiderare la donna d'altri di Susanne Bier del 2004

Questo film il cui titolo originale è semplicemente Brodre (Fratelli), è stato oggetto di una riedizione USA del 2009 (Brothers) di Jim Sheridan (ma che è successo al Jim Sheridan di Il mio piede sinistro e Nel nome del padre?)  che ha il difetto di avere come protagonista Tobey McGuire invece del meraviglioso Ulrich Thomsen. Per il resto è quasi identico e assolutamente superfluo. Esisteva già questa bella pellicola della Bier che raccontava la storia di un soldato fatto prigioniero in Afghanistan e ritenuto deceduto che invece viene liberato dopo diverso tempo e torna in patria molto cambiato e inizia a dubitare del rapporto che il fratello Jannik ha creato in sua assenza con sua moglie.  Delle interpretazioni potenti e tormentate, una storia che tiene incollato lo spettatore, forse non originalissima (o magari lo sembra perché  è stata ripresa in seguito in vari modi), ma ben diretta e molto commovente. (Suvvia il film di Sheridan se lo concedano tuttalpiù  le fan di Jake Gyllenhaal, che poi è il motivo per cui l'ho guardato io). 



Dopo il matrimonio di Susanne Bier del 2006

Rieccoci alla Bier, regista amata in Europa e non solo (ha vinto l'oscar nel 2011 e questo film era stato nominato come film straniero nel 2007) che suole parlare nelle sue opere di dinamiche familiari ed etica della vita quotidiana (mmm, lo so, sono frasi fatte, ma a volte aiutano). Questo film, secondo me, è il suo migliore. Racconta la storia di un uomo impegnato in missioni umanitarie (il fascinoso Mads Mikkelsen - lo so che potrebbe sembrare che in Danimarca ci siano solo due attori famosi e bravi, ma invece son sicura di averne contati 4 o perfino 5), che riceve un invito da parte del marito di una sua ex a tornare in Danimarca per ricevere una sostanziosa donazione benefica. Dietro questo gesto, però si celano ben altri intenti che diventano palesi il giorno del matrimonio della figlia di questo ricco e apparentemente generoso mecenate e che mettono il personaggio di Mikklesen di fronte verità scomode e a scelte decisive e dolorose. Si tratta di un film dalla storia molto realistica e struggente, diretto magistralmente da una Bier che collabora con il Jensen delle mele di Adamo per scrivere una sceneggiatura originale con buon ritmo e dialoghi azzeccati, mai troppo drammatici e  che analizza le relazioni umane fin alla radice (il rapporto padre-figlia, in particolare, è reso con molto realismo e delicatezza).  
Una nota di merito aggiuntiva va alla scelta di inserire nella colonna sonora Vaka (o untitled1) dell'album ( ) dei Sigur Rós (una meraviglia). 
[Non ho trovato una scena del film con Vaka che non contenesse spoiler, peccato, metto il trailer]. 


Festen di Thomas Vintemberg del 1998

Quì vado sul banale, lo cito solo en passant perché credo che lo conoscano tutti. Film Dogma #1 del movimento Dogma 95, di cui Vintemberg è stato uno dei fondatori con von Trier (entrambi poi si si sono discostati fino a terminarlo nel 2005) che, come insegna Corrado Guzzanti in una imitazione di Ghezzi, consisteva nel "il divieto per le persone alte 1.95 m di entrare al cinema per non oscurare la visuale alle persone sedute dietro di loro".
Ecco, nel caso di Festen, avere la visione ofscurata da uno alto 1.95 sarebbe un peccato, però potrebbe salvare lo stomaco di qualche spettatore. Una delle caratteristiche "dogmatiche" del film è infatti la ripresa fatta solo con telecamera a mano (in epoca molto precedente a theBlair Witch Project, REC e compagnia bella), con sobbalzi degni di montagne russe e concomitante cinetosi. Però dura poco. E' la breve e drammatica storia di una festa rovinata, grazie alla messa a nudo dell'ipocrisia, il dissotterramento di antiche colpe, allo scopo di provare a scacciare complessi e angosce del passato, altrimenti inconsolabili. 
Vabbè, c'è quel pezzo di attore di Ulrich Thomsen (ma che ve lo dico a fare), ma anche una brava Paprika Steen (che era anche ne le mele di Adamo ed è la terza dei quattro attori che citavo prima). 
Se non lo avete visto vedetevelo, ma stomaco vuoto. 


Pusher di Nicolas Winding Refn del 1996

E' il 1996 e Refn non si immagina certo che nel suo futuro ci sarà Drive e Gosling con il giacchetto scorpionato. Totalmente inesperto si mette a girare un film semplice, di quelli che parlano di spacciatori piccoli che fanno una qualche cavolata e si trovano a dovere un sacco di soldi a spacciatori più grossi. Prende un Mikklesen (non ve lo aspettavate eh), rasato, pallido ed emaciato, agli esordi assoluti, e lo mette di fronte ad una macchina da presa a scappare e lottare per la sopravvivenza nei quartieri malfamati di una Danimarca violenta da far paura. La cosa gli riesce bene, il film diventa di culto, e ne gira altri due, forse migliori del primo. Pusher II e Pusher III (fantasia al potere). 
Disturbante, inquietante, consigliato a chi ha amato Trainspotting ed è pronto a vedere di peggio (ma meglio - forse).



L'eredità di Per Fly del 2003

Il potere economico, lo status sociale quanto cambiano le persone? O meglio, quando si passa dall'altro lato, quando si diventa parte di quel mondo che prima si criticava aspramente, è possibile non diventare un tutt'uno con questo, ma mantenere il proprio modo di vedere le cose, la propria integrità? Per Fly ci racconta la storia di Christoffer, un cuoco che dopo il suicidio del padre si trova a dover prendere le redini della acciaierie e dell'impero finanziario lasciatogli in eredità. La risposta del Regista alla questione è chiara, l'etica muta con le condizioni, non esiste un punto di vista univoco, il cambiamento, come adattamento e compromesso, altera e corrompe Christoffer nel profondo, minando anche la sua sanità mentale. Questo film, fortemente sponsorizzato dal caro von Trier, è stato anche criticato e tacciato di aver banalizzato i contenuti pur partendo da buone premesse. A me ha colpito per la capacità di mostrare le varie fasi della mutazione del protagonista e per il contenuto espressamente "politico" sebben non del tutto sviscerato. Guardatelo, poi mi fate sapere. Ah, indovinate chi recita la parte di Christoffer? Sbagliato! il fantastico Ulrich Thomsen (uh, ma ormai dovreste saperlo, quello biondo è Ulrich, quello moro è Mads). 


La ricostruzione di un amore di Christoffer Boe del 2004

Questo film me lo ricordo veramente poco. C'è un tizio (Nikolaj Lie Kaas) che incontra una donna e se ne innamora perdutamente, tanto da lasciare la fidanzata. Il giorno dopo però scopre che nessuno tra amici e colleghi lo riconosce più e quello che era il suo appartamento è completamente diverso. Io mi aspettavo che finisse con un complotto internazionale invece... Non dico altro. [Pure il trailer senza accenno ai dialoghi non aiuta, sembra una congiura per non far capire la trama]. L'ho citato per due motivi: il primo perché quando l'ho visto mi è sembrato particolarissimo è molto ben fatto, assolutamente surreale. Il secondo è perché non c'è nessuno dei due attori culto, Ulrich e Mads, bensì oltre al già citato Nikolaj Lie Kaas (che poi era il fratello Ulrich di Non desiderare la donna d'altri), anche Nicolas Bro (che era uno dei soggetti strani che vivevano alla parrocchia di Padre Ivan in Le mele di Adamo), così ne ho citati perfino 5, di attori. In realtà l'ho nominato anche per poter dire due parole del regista, Christoffer Boe, che è autore di un altro film per iper-cinefili, parecchio strano, e penso più famoso, che si intitola Allegro, straordinariamente complicato, tanto che pure questo, per poter dire qualcos'altro, lo dovrei prima rivedere.

Sono arrivata all'ultimo film che voglio nominare, certa che non esiste essere umano che possa esser arrivato fin quì. 


Il sospetto di Thomas Vintemberg del 2012

Mentre trepidavo in attesa dell'annuncio del vincitore dell'Oscar per il miglior film straniero, a Marzo scorso, tifando per Sorrentino, in cuor mio mi sentivo una traditrice. Thomas Vintemberg era infatti tornato ai fasti di Festen, ed era in lizza con questo Il sospetto, io però non me la sentivo di non tifare per il connazionale. Quello di Vintemberg è film piuttosto diretto, realistico, "senza fronzoli", che racconta di un insegnante accusato di pedofilia, in un ambiente provinciale dove le malelingue sono in grado rovinare la vita di una persona anche senza alcuna conferma ufficiale delle accuse infamanti. La caccia alla selvaggina diventa metafora della caccia all'uomo, prima oggetto di infamia e poi esaltato come vittima in base a come cambia il vento. Vintember sembra pensare anche al padre di Festen in modo però diametralmente opposto.  Se lì la colpa non era oggetto di discussione, qui invece il dubbio, il sospetto è il primum movens della vicenda, e la storia racconta la fragilità di ognuno di noi, in balia di sospetti e accuse in grado di rendere la nostra vita miserabile. 
Per quanto riguarda l'Oscar, si sa come è andata a finire; a conclusione dello sproloquio vi incollo la risposta su twitter del gentilissimo Ulrich Thomsen ad un mio commento sulla possibile vittoria dell'Italia all'Oscar. :-) (smiley face). 


   

martedì 10 giugno 2014

In ordine di sparizione di Hans Petter Moland

Stellan Skarsgård è Nils Dickman, un immigrato in Norvegia soddisfatto della propria semplice vita familiare e del proprio lavoro da spazzaneve, per cui ha appena ottenuto il titolo di cittadino dell'anno. In mezzo a tutta quella neve e silenzio, la sua esistenza è routinaria e rassicurante. Questo incanto si rompe quando suo figlio viene ucciso. Da quel momento la sua vita sarà completamente devoluta alla vendetta. Dickman imbraccerà le armi lasciando dietro di sè una lunga scia di omicidi di personaggi sempre piuttosto sopra le righe, dal killer ossessivo e vegano, alla coppia di scagnozzi gay che intrecciano una relazione segreta, al gruppo di criminali serbi, capitanati da Bruno Ganz, tanto spietati quanto imbranati. Uno dopo l'altro i personaggi appaiono e scompaiono in un rutilante e balletto che, come recita un commento dell'Hollywood reporter riportato sul cartellone del film "unisce la vendetta Tarantiniana all'ironia dei Coen". Tarantiniano infatti è non solo il modo freddo, brutale ma al tempo stesso ridicolo con cui viene sparsa questa discreta quantità di sangue, ma anche la scelta di alcuni dialoghi tra i killer che rimandano, per citarne uno, a Pulp Fiction. Coeniana appare invece la sagacia e il modo surreale di raffigurare questa vendetta, senza rinunciare a uno sguardo amaro sull'esistenza di alcuni dei personaggi presentati. In questo contesto umano l'atmosfera immobile del paesaggio fa da contrasto perfetto all'azione. Il regista norvegese Moland riesce a creare un'opera comunque originale, sebbene ricca di rimandi. Mentre con i propri tic alcuni dei killer finiscono per somigliare più a icone che a persone, Nick Dickman raccoglie in sè tutte le sfumature di una esistenza spezzata, privata del proprio equilibrio e senso, senza niente da perdere, che mi ha ricordato il Sordi di Un borghese piccolo piccolo. Perfetto Skarsgård con il suo sguardo malinconico e l'aspetto serafico anche nei momenti più truci, degno di nota Bruno Ganz, che fa da centro di alcune delle situazioni più divertenti del film. Un film che rimarrà impresso nella memoria di molti cinefili (presentato all'ultimo festival di Berlino, dove non ha vinto nulla, vabbè).



domenica 1 giugno 2014

Oltre il confine - Cormac McCarthy

Secondo racconto della trilogia della frontiera (unico dei tre che per ora abbia letto), Oltre il confine si inserisce nel filone dei racconti del west e appare vicino come temi ed atmosfere ai suoi primi lavori (Meridiano di Sangue, per citarne uno).
Il romanzo si divide in quattro parti che sanciscono momenti di passaggio nella vita del protagonista, Billy Parham. Billy è un ragazzo americano nella cui esistenza, dura come può essere quella del figlio di un povero allevatore nella campagna del sud degli Stati Uniti nella prima metà del ventesimo secolo, accadono, in epoca troppo precoce, avvenimenti terribili che lo portano ad attraversare più volte il confine con il Messico.
Si tratta, di fatto di un romanzo di formazione, vediamo infatti cambiare Billy nel tempo e ne cogliamo la maturazione appresa attraverso l'esperienza. Tra le tematiche che ricorrono nel racconto c'è in  primo luogo il ruolo delle scelte. Fermarsi, invertire la direzione di marcia del suo cavallo e ripartire sono gesti che non solo imprimono una svolta nella storia, ma sono il fulcro della presa di coscienza e della crescita di Billy.
Ciò che muove il ragazzo è in più riprese un imperativo, la necessità riportare qualcuno casa sua, rimettere gli eventi nel loro giusto ordine, aiutare le cose a ritrovare il loro posto nel mondo, dopo che è successo qualcosa di apparentemente irreversibile. Non è solo il tentativo "infantile" di un adolescente di negare il cambiamento, piuttosto la necessità di credere che possa esistere qualcosa di giusto nel mondo, anche quando le disgrazie provocate dall'uomo sembrano negarlo. Billy subisce gli eventi, subisce anche le scelte altrui, ma sembra voler fare il possibile per ribellarsi a questa logica ferrea che governa le cose. Ciò che Billy impara sulla vita, smorza il suo idealismo, scalfisce la sua umanità, senza tuttavia riuscire a distruggerli.
Nella prima parte del libro, secondo me magistrale, la lotta di Billy per catturare una lupa e poi per "riportarla a casa", esemplifica la fatica umana per determinare il proprio e l'altrui destino dovendo fare i conti con le violente reazioni di altre esistenze indifferenti ai bisogni e ai desideri del giovane protagonista così come a quelle di ognuno di noi.
Per me i libri di McCarthy oltre a rappresentare quanto di più bello si possa leggere ad opera di un autore contemporaneo, sono anche un'alta prova di scrittura, spesso priva di sfarzo linguistico, espressione di un lavoro di cesello e che non indugia nell'autocompiacimento. L'opinione dello scrittore sul male che compenetra il mondo, spietata e spiazzante, emerge attraverso concisi dialoghi filosofici dei protagonisti ma anche insita nello svolgimento dei fatti. Oltre il confine è una lettura a tratti poco scorrevole, che necessita attenzione, ma che lascia al lettore il piacere della scoperta di un classico moderno in tutta la sua bellezza e complessità.