sabato 20 settembre 2014

Can't we talk about something more pleasant? di Roz Chast

Ho scoperto solo ieri che Roz Chast è stata nominata nella longlist dei libri in lizza per il National Book Award nella categoria Non-Fiction. Sicuramente questo è il mio preferito in lizza (se si tralascia il fatto che è l'unico che abbia letto). La prima volta che ho incontrato Roz Chast è stato tra le pagine (digitali) del New Yorker (ignorate la mia psicopatologia che mi fa leggere il New Yorker per sentirmi meno incastrata in un pesino di provincia). E' una fumettista, indiscutibilmente molto brava, che fa non tanto del tratto del disegno (che è però molto originale, semplice, un po' alla Peanuts)  ma della ironia e delicatezza dei temi e del modo di trattarli il suo punto di forza.
Roz Chast in questa graphic novel racconta il rapporto con i suoi anziani genitori. Il titolo si riferisce a ciò le diceva la madre quando nelle discussioni veniva fuori qualche riflessione sul futuro, sulla malattia e peggio ancora sulla morte: "Si può parlare di qualcosa di più piacevole?"   Mettendo in atto una pervicace negazione di una realtà che si stava tuttavia realizzando proprio sotto gli occhi della figlia Roz, con l'invecchiamento e di conseguenza la decadenza fisica, la malattia dei genitori, che si trova poi a dover affrontare con grande disagio e in solitudine. Il libro però non è triste, è dotato della grande dote di raggiungere quelle zone di ombra e vulnerabili del lettore in modo ironico e senza patetismi, lasciando che a commuovere sia il concetto celato più che la parola scritta. Per quel che mi riguarda Roz ha fatto centro in modo diretto e direi chirurgico. Ha puntato a una zona debole, non poi così nascosta, l'ha smascherata,  creando una connessione con le mie paure e preoccupazioni  riuscendo però a farle risultare non sgradevoli grazie a una buona dose di leggerezza. Paure e preoccupazioni che sono sicuramente parte, prima o poi, della vita di tutti.
Mi risulta che ancora non sia stato tradotto, un vero peccato.

Smashed di James Ponsoldt

Ammetto di aver trovato il film  nell'insensata ricerca di un intrattenimento che mi distraesse almeno un po' da quella cosa indescrivibile che è Breaking Bad (ho visto l'ultimo episodio da poco non mi sento ancora in grado di parlarne). Ho trovato per caso questo filmetto indipendente e ho scoperto che nel cast c'è Aaron Paul che recita la parte di un Jesse Pinkman alcolista (di nome Charlie); non ho saputo resistere.
La storia è molto semplice: Kate a Charlie sono due giovani coniugi alcolisti. Vivono un una realtà dove Kate affianca al lavoro di maestra elementare delle ubriacature serali a cadenza quotidiana e un continuo stato post-sbornia diurno. E' il loro modo di vivere, di divertirsi, di trovare una connessione tra di loro. Un giorno però Kate si accorge che questo stile di vita la sta portando verso un limite che non si sente di voler oltrepassare. Decide quindi di affidarsi a un gruppo Alcolisti Anonimi e questo comporta una crisi nelle dinamica del rapporto con il marito. Kate non solo è vittima di una dipendenza, ma anche di un ambiente familiare in cui la scelta ritenuta dallo spettatore come giusta, tornare sobria, viene vissuta come una forma di snobismo; smettere di bere diventa il voler essere diversi dalle persone con cui condividi l'esistenza, volersi elevare al di sopra di loro, giudicandone il comportamento. Per questo la protagonista deve affrontare una battaglia su due fronti, soffrendo in solitudine le proprie scelte e decidendo di perseguire quest via anche a costo di subirne tutte le conseguenze. Questa riflessione rende il film più profondo di altri sullo stesso genere, e trasforma un piccolo lavoro indipendente in un prodotto originale. La scrittura è essenziale, leggera e fa da contraltare ad una tematica molto impegnativa, producendo un lavoro condotto in modo intelligente. Spicca l'interpretazione di Mary Elisabeth Winstead, attrice che devo ammettere di aver ignorato fino ad ora. Consiglio di dare una chance a questa breve pellicola, ben scritta e altrettanto ben diretta, con un finale commovente e realistico, cosa piuttosto rara, tra l'altro.